Sala VIII – Lavoro e Arnesi Domestici
Nella grande vetrina della sala al secondo piano, sono collocati vari temi e molti differenti oggetti; incomincia con gli strumenti di misura e cioè con le bilancie. Sono diverse e per diversi usi: la bilancia per le sale, col piatto aperto per scaricarlo sulla carta da pacco; quella delta farina che é fatta di una grossa ciotola di legno, quella generica a piano rotondo e altre piccole e grandi per pesature varie.
Gli esemplari disposti sul piano a terra della vetrina, sono stadere per pesare la legna, sacchi di farina, fieno e simili. La più preziosa è quella che giace tuttora nella sua custodia di legno e che testimonia l’importanza e la cura che si aveva in passato per questi strumenti. Sul fondo delta vetrina, sono collocati i recipienti per le misure dei cereali e farine, detti stari.
Le misurazioni erano diverse dall’attuale sistema: ad esempio uno staro di un certo diametro, conteneva un certo numero di chili di farina o di frumento. Alcuni sono di ferro e hanno una traversa al collo per la presa e il trasporto. Altri di legno e sono i più antichi.
Il barile col pestello e un attrezzo tipico delle nostre valli scavato solo lino a metà in un ironco, col pestello terminante in una piccola palla di ferro, serviva per fare le castagne peste. Le castagne, già un po secche, sbucciate, erano oestate in questo arnese. Pestate e quasi secche si mangiavano col talle ed erano una ghiottoneria per tutti, ma soprattutto per i bambini.
Sulle pendici della montagna, intorno al nostro paese, c’erano un tempo boschi di castani rigogliosi, specie nella valletta di Pescante, dove ancora si producono i biligòcc o castagne affumicate. Erano fatti con fuoco e fumo anche nelle cucine, ma soprattutto in alcune piccole torri alte 6 o 7 metri. All’interno delta torre e a terra, si faceva un gran fuoco con legna e fogliame; all’altezza di cinque metri c’era un graticcio fallo con rami di castano. Sopra il graticcio erano sparsi i frutti con la buccia. Dal graticcio al tetto c’era spazio per mantenere un poco di tempo il fumo, che usciva da piccole aperture praticate sui lati delta torre. Le castagne, cotte in questa maniera, venivano infilate in una corda, cosi da farne risultare una collana. Il venditore di biligòcc frequentava le fiere e le feste dei paesi delta valle. Presentava le sue castagne mettendosele al collo come un ornamento. La raccolta delle castagne era fatta in autunno: giacevano in mezzo ad un folto fogliame e per cercarle e separarle veniva usato una specie di tre dita, ricavato da un ramo; per prenderle una grande molla simile a quella usata per le zollette di zucchero e naturalmente era ottenuta da legno di castano, che mantiene la forma curva ed elastica se scaldato sul fuoco. Per rompere i ricci una mazzetta a doppio tagliente e cosi raccolte venivano deposte nel canestro (caagnoel) col manico. Questo canestro si portava al fianco infilando il braccio dentro il manico.
I ricci potevano anche essere raccolti senza romperli; allora si ammucchiavano negli angoli scuri delle cantine dove si conservavano freschi e venivano via via consumati lino alla primavera.
Nella medesima vetrina, sopra alcuni arnesi che servivano nelle cantine é appesa una otre; è una pelte di pecora rovesciata e opportunamente conciata e chiusa. Un nome antichissimo. un uso nato nella notte dei tempi. E servito per secoli a trasportare liquidi, ma soprattutto vino. Tra gli attrezzi di cantina una diraspatrice in legno e vari recipienti.
Il pastore e un personaggio che tuttora si incontra nella parte alta della nostra valtata e un mestiere antico. Vive col suo gregge nei pascoli alpini e può avere riparo di notte nelle casupole di pietra delle baite, equipaggiato per stare all’aperto e porta con se il necessario per nutrirsi, per bere, per ripararsi dalle intemperie, in una bisaccia. Il suo aiutante inseparabile é un cane e anche il suo bastone. Nota a tutti la razza del cane da pastore bergamasco. col pelo bianco e grigio e un occhio differente dall’altro; possiede una speciale intelligenza per guidare le pecore e anche le mucche lungo I traslerimenti. Il cane sta sempre vicino al pastore, il quale con uno speciale linguaggio, lo comanda quando occorre. Al comando il cane rincorre le bestie sbandale, quelle che hanno preso una diversa strada e abbaiando e inseguendole le fa ritornare alla mandria.
Un tempo il pastore era anche il medico delle sue bestie: portava con sé i rimedi per i vari mali, disinfettanti, unguenti, vaccini per i morsi delle vipere. E anche il coltello a varie teste per fare incisioni e salassi.
Aveva vari modi di richiamo per radunare il gregge prima che scendesse la notte, ma soprattutto ordinava la raccolta al cane e affidava la chiamata al suono del corno.
In certe zone il cane aveva un collare irto di punte di ferro, che gli permetteva di difendersi e lottare quando per avventura fosse staio assalito dai lupi. Un altro collare con le punte di ferro era usato per i vitelli ma con diverso scopo da quello usalo per i cani.
Accadeva alle volte che lungo i cammini dei pascoli nascesse qualche pecorina. Il pastore allora la collocava in una bisaccia doppia, fatta di tela di sacco, che portava sulla spalla: cosi i nuovi nati potevano seguire il gregge. I vitelli da latte seguivano sempre la madre e tentavano di succhiare dalle mammelle. Ma poiché il pasto del vitello doveva essere regolato, gli si metteva al collo un collare irto di punte di ferro, cosi quando s’ avvicinava al petto della madre, questa veniva punta e scappava, impedendo in tal modo di succhiare il latte fuori tempo. Serviva anche per lo svezzamento.
Il mandriano era naturalmente orgoglioso delle sue bestie e anche del loro aspetto; uno dei pregi delle bovine è sempre stato quello di possedere delle corna ben fatte: corna con te curve “lunate”. Quando le corna deviavano malamente, il mandriano applicava un apparecchio per raddrizzarle e dare cosi un miglior aspetto; l’apparecchio si chiamava tira-corna (tiracòregn).
Ferri per marchiare le mucche, siringhe di peltro per curarle, forbici per tosare le pecore: questa forma di forbice é antica quanto il mondo ed è usata tuttora. Piccoli collari (gambise) per pecore e capre, tutto un corredo di oggetti che hanno seguilo l’uomo per secoli.
Sui tre ripiani in alto, si trovano le lampade dei minatori, gli arnesi dello spazzacamino, più sotto gli attrezzi di un personaggio il cui lavoro è oggi diventalo raro, sono gli attrezzi per fare il selciato: in tutti i paesi le strade principali erano selciate con ciottoli rotondi di fiume; sopra un fondo di terra e sabbia, il selciatore (risoli) ordinava i ciottoli uno accanto all’altro: molte volte col gioco dei colori faceva dei disegni geometrici, oppure date, oppure scriveva parole e aveva bisogno di tutti i ferri che qui si vedono, ognuno dei quali serviva per una specifica funzione.
Al più basso, una forma per fare e tegole, sistema iniziato dai romani e forse prima ancora. Poi il secchio, la cazzuola, il filo a piombo. E le mani dell uomo e I’occhio sapiente e preciso per elevare muri di pietra squadrata o di mattoni, rossi e forti. Un curioso nome è stato attribuito in passalo alla pala per mescolare la calce alla sabbia e per stemperarla: ol ligos che significa all’incirca pigro. Il movimento della pala era lento e a lunghi tratti d’onde il nome di pigro o lazzarone.
L’ultima parte della vetrina e dedicata agli oggetti domestici, specialmente usati intorno al camino, che era il centro delI’abitazione rurale. Sono cose che dal lontano mondo antico sono pervenute fino a noi attraverso i secoli mantenendo una continuità nella forma e una perennità nella funzione. La rivoluzione industriale del XIX secolo ha portato molte traslormazioni, ma sovente i vecchi oggetti sopravvivono ancora. Lo studio delle loro forme e del loro uso e di grande interesse, essendo legati alla vita e alle abitudini delle comunità rurali durante un lunghissimo periodo di tempo.
Ciotole, piatti, taglieri per la polenta e altri oggetti di uso domestico un tempo erano fatti di legno. Qualche volta era la pazienza, l’abilità e il tempo invernale a far fare a un contadino questi oggetti, usando gli arnesi e la cavra si potevano fare a mano piatti, ciotole, forme per il burro; in genere pero sI usava il tornio per ottenere queste forme e altre cose oramai andate in disuso. L’esemplare esposto al museo mostra il suo uso: una ruota grande e pesante azionata a pedale e collegata a perni che prendono l’oggetto da formare imprimendo col pedale il moto alla ruota, l’oggetto gira ed é inciso e lavorato da un coltello. Il tornitore guida il tagliente coltello che incide il legno e a poco a poco ottiene la forma voluta. In questa sala si possono ammirare molti pezzi usciti da questa antica macchina.
Davanti ai pochi arnesi del boscaiolo si può riassumere il suo lavoro semplice e duro: tagliare, segare, spaccare, scorzare e trasportare a valle. L’ascia serve per tagliare I tronchi (bore) quando sono in piedi, la scure e l’accetta per scorzare, ripulire i tronch abbattuti. Questo era il lavoro di gran parte dei robusti brembani che emigravano. La roncola serve per roba più sottile ed e portata alla cintura del boscaiolo. I tronchi piu grossi sono invece segati, le seghe del boscaiolo sono fatte a due manici e ben pesanti. Per trasportare il tronco a valle, si servivano di slitte a due pattini, robuste e con catene per assicurare il peso; le fascine invece venivano trasportate con teleferiche a carrucole di scorrimento. Il legname veniva mosso con picche a lungo manico; dove era possibile, il trasporto si faceva con la forza dell’acqua dei torrenti, utilizzando chiuse e piene provocate da queste chiuse
Per ottenere dai tronchi le assi c’era una speciale sega a due manici con un telaio rettangolare intorno che permetteva di tagliare ben diritto. Ma già nel Medio Evo si cominciò ad accoppiare alla forza dell’acqua la ruota che azionava le segherie, facilitando cosi il taglio de legname. Il falegname (detto marengu dal greco marenghos) utilizza per tutti i suoi lavori le assi preparate dalle segherie: anche a Zogno sulla strada nuova e prima del vecchio ponte esisteva una segheria azionata ad acqua ed il luogo veniva chiamato la rasga. Dopo questo lavoro preparatorio, il legno veniva uutilizzato in molte maniere e c’erano un grande numero di attrezzi e arnesi che l’uomo creò, perfezionò e usò per molli secoli. Gli strumenti per forare succhielli, trivelle, trapani: nell’angolo dedicato al falegname, sul muro in alto, sono esposti due grandi succhielli con lunga asta di ferro: servivano per forare i tronchi d’albero, che cosi bucati diventavano condutture soprattutto per l’acqua potabile. Gli strumenti per tagliare, seghe, seghetti, coltelli, scalpelli; gli strumenti per segnare il legno durante il lavoro e le pialle per renderlo liscio e lucente.
Le forme delle pialle erano numerosissime e ognuna destinata ad un certo lavoro. Sgrossare, lisciare, fare cornici, modanature, incavi, con questi strumenti venivano crealt tutti gli oggetti di legno, mobili, porte e finestre e tutto il corredo della casa e gli attrezzi da lavoro.
Con diverso nome e diversi arnesi, altri artigiani lavoravano il legno, producevano le ruote dei carri, i carri e le carrozze; i secchi per il latte, i fiItri e le forme per i formaggi, le finestre, le porte, i balconi: ma quante altre inumerevoli cose allora e ancor oggi sono fatte di legno?
Un curioso attrezzo serviva per fare il foro delle botti quando erano fatte e finite. Le grandi pialle manovrate dala forza di due uomini, servivano a spianare le parti grandi di molti mobili che ancor oggi noi ammiriamo come lavori d’arte.
Le XII Sale del Museo
SALA VIII

Lavoro e arnesi domestici
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