Sala V – La lavorazione del latte
L’alpeggio ha remotissime origini, e nella nostra valle é stato sempre una delle occupazioni preminenti della gente, specie nella parte alta. Le mandrie, all’aprirsi della buona stagione, lasciavano la pianura per il pascolo montano; seguivano per varie giornate le strade della bassa e poi quella della valle; per antichi sentieri si afffrontavano i pendi delle montagne per raggiungere l’alpe. Queste mandrie in trasferimento, si chiamavano bergamine, appunto perché alpeggiavano nelle valli bergamasche e i conducenti delle mandrie erano detti bergaml. L’alpe (cosi era detto il luogo di sosta delle mandrie) consisteva in una o più baite di pietra coi tetti di ardesia e in un recinto di sassi, dove sostavano di notte gli animali. Le baite servivano anche da “casera” che era un luogo dove si producevano burro e formaggi.
Il malghér o mandriano partiva all’ alba con le mucche per il pascolo; il casaro invece cominciava il lavoro per la preparazione del burro e dei formaggi. Quando il mandriano ritornava, dopo calato il sole, tutti si mettevano al lavoro della mungitura.
Oggigiorno, burro e formaggi sono fatti nei grandi stabilimenti. Ma nella nostra valle esiste ancora qualche casera che continua a produrre col metodo antico. Il latte appena munto viene messo in grandi bacinelle chiamate ramine (perché sono di rame stagnato) per ottenere l’affioramento della panna; questa veniva subito raccolta e versata nella zangola (penagia), destinata a produrre il burro.
La zangola primitiva e tradizionale era formata da un cilindro di legno più alto che largo, tenuto da bande di ferro; I’imboccatura era piccola: un foro da permettere l’introduzione di una lunga asta cilindrica: questa veniva mossa dalle braccia dell’uomo dall’ alto in basso e viceversa continuamente, finché questo sbattimento provocava la separazione della parte più grassa del latte che formava una pasta dura; il liquido separato era detto latticello. La pasta di burro cosi ottenuta era lavata più volte in acqua fredda, e più volte impastata per eliminare tutto il residuo di latticello; poi veniva messa negli stampi che generalmente recavano emblemi come un fiore alpino, la testa di mucca, o il simbolo del sole. Le zangole più moderne eran fatte di un tronco di cilindro girevole su due sostegni; all’interno aveva delle piccole pale che riproducevano il movimento delle braccia dell’uomo.
Il latte scremato serviva per fare il formaggio. A tale scopo era versato in grandi caldari di rame sostenuti dentro un camino da un braccio girevole dello sigogna. Dopo aver portato il latte ad una certa temperatura, si aggiungeva il caglio, (sostanza estratta dallo stomaco dei vitelli) che aveva la proprietà di coagulare il latte. Avvenuta la cagliata, questa era tagliata piu volle con una spatola di legno, indi veniva ancora sminuzzata con il tris (bastone munito di fili di ferro che formavano van cerchietti).
Le forme venivano salate, rivoltate dì frequente e lasciate stagionare, quando erano pronte andavano sui mercati, due nomi sono tutt’ ora notissimi tra i prodotti della Valle Brembana: il Branzi e il Taleggio. Ancor oggi e negli stessi paesi esiste la produzione di questi formaggi; il luogo delle lavorazioni e ancora l’alpe, dove ci sono le baite delle casére, ma i sistemi sono stati perfezionati con altro genere di macchine; cosicché zangole, ramine, stampi, astucci per il sale, scatolette per il caglio, filtri di legno, sono diventate curiosità del passato.
Nel mezzo della stanza dove sono esposti gli strumenh per lavorare il latte, c’è un granaio familiare, ricavato da un tronco d’albero di grandi dimensioni. Particolare osservazione va fatta per i secchi di legno, un tempo usati esclusivamente per il latte. Le fasce che tengono insieme il secchio, simulano I’ incrocio delle dita delle mani: un arnese utile ispirato dal gesto delle mani di un uomo.
Le XII Sale del Museo
SALA V

La lavorazione del latte
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