Sala VI – Gli zoccoli, il ciabattino e la caccia
Una attrezzatura delle piu curiose e quella della fabbrica degli zoccoli; una macchina (la cavra) dove I’uomo stava seduto e con I’ ausilio dei piedi e di due fermi verticali fissati nella coda de la macchina, poteva tener saldo un ceppo di legno sbozzato e per mezzo di taglienti coltelli da usare a due mani, era in grado di ricavare uno zoccolo di legno. Questa era I’antica fabbrica delle scarpe che poteva anche fornire altri oggetti specialmente manici di vanghe, dì zappe e di scope.
Gli zoccoli erano completati da una semplice lascia di cuoio fissata al legno con diversi chiodi (era lo zoccolo per l’estate) oppure era coperto per più di meta da cuoio in modo da introdurre e proteggere tutta la parte anteriore del piede; questo era ìl modello invernale e al quale spesse volte venivano aggiunti dei chiodi (brochète) che servivano per camminare meglio sui sentieri ghiacciati.
L’inventiva, la creatività contadina si rileva dalla notevole varietà di questi attrezzi che sempre cavano i vari lavori ottenibili, sedendo e lavorando sulla cavra. Quasi ogni famiglia ne possedeva una, ed era il lavoro degli uomini specialmente nei mesi invernali.
Nell’angolo a destra della finestra sono esposti gll arnesi del ciabattino (scarpuh). Il suo deschetto, il suo modo di star seduto e di lavorare, i suoi attrezzi per tagliare, battere, chiodare, non sono del tutto sorpassati; e perduta invece la sua figura che nei nostri paesi aveva un motivo singolare: la sua bottega era un po il raduno della gente, uomini e donne, per chiacchierare e scambiare parole. Nella nostra valle, le scarpe prodotte localmente, erano quasi sempre robuste scarpe da montagna in ragione della ubicazione delle case e della professione della gente.
Il tavolo rosso scuro, ancor pregno di sangue, la piccola tramoggia a vite, i larghi coltelli a muro, il piccolo imbuto e gli arnesi diversi che sono esposti nell’ angolo della stanza a sinistra della finestra, servivano per la macellazione del maiale (capa òl porcél). Questo corredo apparteneva ad uno degli ultimi operatori itineranti, quelli che andavano da una casa all’ altra, fuori dai paesi e sulle montagne.
Il maiale era una delle principali risorse per fornire carne alle famiglie ed era carne per lo piu insaccata che durava a lungo. Allevare l’animate con i resti della cucina era poco costoso e molto redditizio, e forniva anche un cibo gustoso e vario.
L’uccisione del maiale era un rito e una festa: veniva finito con una pugnalata al cuore, generalmente all’ inizio dell’ inverno. Poi cosparso di acqua molto calda, liberato dalle setole, veniva sospeso e squartato. Le budella erano usate per insaccare la carne triturata cioè per salami, salsicce di vario tipo (codeghi, salam, loeanghina).
L’operazione durava tutta la giornata. Il macellatore era aiutato dall’intera famiglia e terminato il lavoro tutti insieme banchettavano in allegria con frattaglie, polenta e carni cotte suita brace. Cosi le famiglie che vivevano isolate sulle pendici delle montagne erano quasi autosufficienti per il prodotto delta terra e per gli animali, l’economia della valle aveva in questi insediamenti la sua espressione produttiva e di vita.
L’angolo con la rete, le gabbie e le tagliole, vuol ricordare l’uccellagione, un modo di catturare uccelli tanto caro ai bergamaschi. Polenta e uccelli è infatti un tipico piatto della nostra regione.
È utile sapere che non é la stessa cosa della caccia che viene praticata col fucile; l’uccellagione é un espediente antico, un insidia tesa dall’ uomo per prendere glì uccelli. L’origine di questa pratica cosi diffusa nella bergamasca, risale al secolo XVI o forse anche prima: il mezzo e il ròccolo mentre per i bresciani è la bressanella non motto dissimile dal ròccolo. Sono gruppi di alberi (quasi sempre carpini) interamente circondati da un pergolato alto, sotto il quale, tutto attorno, è tesa la rete; il pergolato è un grande rettangolo e su uno dei lati brevi c’é un casello, sorta di piccola torre più afla degli alberi. L’uccellatore (oséladur) sale nel casello prima dell’alba; ha posto in giro al ròccolo e sugli alberi interni dello stesso, le gabbie con gli uccelli da richiamo; ha anche infisso nel prato delle gabbie tonde di rete di ferro sottile, con dentro altri uccelli da richiamo. Se gli uccelli non cantano per attirare il passaggio sopra e dentro il ròccolo si serve di molti subbielli; nella vetrina ne sono esposti parecchi. Ciascuno di questi imita il canto di un particolare pennuto.
L’uccellatore e i suoi aiutanti si servono dei subbielli all’apparire di voli che si posano sul verde del ròccolo prima che sorga la luce; e anche r chiamano gli uccelli che dormono sugli alberi mtorno al ròccolo. Quando vedono che se ne sono radunati molti, da una finestrella lunga e stretta lanciano nell’aria sopra gli alberi, dei dischi rotondi fatti di vimini con un lungo manico (sboradur); questi arnesi nel solcare l’aria producono un sibilo che spaventa gli uccelli posati sugli alberi: intimonti dal rumore si buttano in basso tentando di volar via, ma trovano l’ostacolo della rete e restano nella stessa impigliati.
Ciò che sembra intollerabile nella pratica della uccellagione (oggi che l’uomo può sostentarsi diversamente) e il fatto che i volatili, lucherini, fringuelli, tordi, merli e altre simili piccole meraviglie della natura, vengano catturati vivi e poi uccisi dalle mani dell’ uccellatore.
Le XII Sale del Museo
SALA VI

Zoccoli, ciabattino e caccia
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