Sala I – La fucina del fabbro
L’uomo lavorò il ferro sin da epoche remotissime e questo lavoro era considerato nelle comunità primitive di derivazione divina: l’homo faber era il “creatore” venuto dopo gli Dei.
L’artigiano – fabbro era quindi ritenuto un esperto di segreti. Quasi un mago; come fosse un incaricato da Dio di perfezionare la creazione. E il fabbro, collocato dalla fantasia in ragione del suo lavoro dentro fumosi e sacri antri, restò per secoli un creatore affascinante e misterioso. Ma fu la sua mente che sempre guidò il martello, dal battito del quale uscirono innumerevoli forme e oggetti, attrezzi arnesi e strumenti che migliorarono il lavoro e il vivere.
Si servì sempre per lavorare di un’incudine e del martello: per portare il metallo allo stato pastoso usò il fuoco; per alimentare il fuoco, il mantice che serviva a soffiare I’aria con flusso costante sul fuoco e a mantenerlo acceso.
Troverete gli arnesi per lavorare il ferro e alcuni prodotti di ferro lavorato; da una parte quindi incudine, martelli, pinze e tenaglie; dall’altra ferri lavorati, serraglie per le porte, inferriate, croci, e altri prodotti di ferro battuto. Il lavoro del ferro ebbe varie espressioni e in molti casi, il risultato fu un’ eccellente opera d’arte.
Sono quasi del tutto scomparsi i magli che pure produssero durante il passato quali badili, vanghe, picconi, falcetti e coltelli, attrezzi che furono di utilità fondamentale per il lavoro nei campi. Un esemplare esiste tuttora a Clanezzo e non si sa fino a quando.
Nel secolo XIII si cominciò a usare la ruota mossa dall’acqua per azionare i magli: fu questa energia che aiutò assai i metodi di lavorazione del ferro. La pesante testa del maglio era applicata all’ estremità di una grossa trave di legno che eramontata su un bilico. La grande ruota girava mossa dalla caduta dell’acqua, l’asse della ruota terminava all’ interno del fabbricato con quattro perni fissi che alternativamente incontravano un altro perno fisso fissato ali’ estremità della trave che portava la testa del maglio. La ruota girava per la forza dell’acqua e ogni volta che uno dei suoi quattro perni incontrava il perno fissato sulla trave, alzava la testa di ferro alla opposta estremità: la quale appena liberata dall’incontro col perno, ricadeva battendo col suo enorme peso su un oggetto da forgiare; il fabbro teneva il ferro incandescente con una grossa pinza e lo presentava alla battitura in modo da ottenere con vari colpi I’oggetto desiderato.
Ne uscirono pale, vanghe, scuri e picconi: il movimento del fabbro era sapiente e preciso cosicché il prodotto veniva perfezionato con pochi colpi.
Nelle nostre valli esistevano un tempo miniere di ferro; a Serina c’erano diversi artigiani che fabbricavano chiodi ed erano chiamati ciodaroi, l’incudine speciale qui esposto col relativo martello, serviva per tale lavoro. L’incudine aveva due fori sagomati: uno portava un tagliolo, l’altro una matrice che era poi la forma da dare al chiodo.
Si portava una barretta di ferro allo stato pastoso, si tagliava in misura col tagliolo e col martello si riduceva in forma: da una parte la testa e dall’altra l’asta. Si introduceva l’asta nel foro sagomato e si batteva la parte che restava fuori per ottenere la testa del chiodo. Gli esempi di questo prodotto sono esposti sulla parete di fronte all’incudine.
A Serina vari artigiani fabbricavano semplici lumi ad olio (alum) formati da una vaschetta per l’olio con beccuccio per lo stoppino e da una asticciola con gancio di sostegno, in uso fino a non molti anni addietro in casolari e stalle isolati.
Legato al ferro era anche il mestiere del maniscalco detto feracaai. Il cavallo fu per lunghi secoli al servizio dell’ uomo; era necessario ferrarlo ogni cinquanta o sessanta giorni per poter conservare lo zoccolo. Il maniscalco aveva una sua fucina per forgiare i ferri da cavallo che non erano mai uguali uno all’altro. Protetto da un grembiule di cuoio spesso, detto bigaròla, lavorava stando in ginocchio; puliva il piede e I’unghia del cavallo, la limava e adattava il ferro allo zoccolo. Poi lo inchiodava attraverso l’unghia da sotto in su e ribatteva il chiodo sull’ unghia stessa. Il maniscalco aveva la sua bottega lungo le strade principali, come ora si trovano sulle stesse strade i distributori di benzina e le officine di riparazioni per le automobili: un lavoro non facile che richiedeva perizia e fatica e molto coraggio.
Nella sala meritano particolare osservazione le serrande delle porte, i catenacci, le numerose forme di chiavi, le croci e anche i cosidetti doccioni, cioè la parte terminale dei canali dei tetti.
Il grande mantice al centro della stanza era in funzione fino a poco tempo là, nella fucina di un maniscalco in una località della Valle Taleggio. Molti altri oggetti di ferro servivano all’ uomo in un recente passato: le graticole, gli spiedi, le rampinere (usate per recuperare i secchi caduti nel fondo dei pozzi), i sostegni per le tavole di legno che formavano i letti.
Oltre al ferro, all’incirca con i medesimi procedimenti, si lavoravano altri metalli; nelle nostre vallate il rame assumeva una speciale importanza sia per produrre i secchi per I’ acqua sia per il paiolo della polenta: il paiolo della polenta d’un tempo aveva una durata oggi sconosciuta perché era prodotto con una tecnica speciale. Anzitutto era battuto, cioè ricavato da un blocco di metallo tondo e spesso. Con la battitura intelligente dell’artigiano, si otteneva un fondo piuttosto spesso e i fianchi assai sottili; il fondo esposto al fuoco durava molto più a lungo e manteneva più a lungo il calore del fuoco.
Nella vetrina del Primo Piano sono esposti alcuni oggetti che in passato hanno formato il corredo personale dell’uomo.
La fàsa di braghe, le due reti di cotone appese ai lati della vetrina, sono quelle che noi chiamiamo oggi le cinture dei pantaloni.
I bastoni lavorati erano fatti nei mesi d’ inverno dai contadini, dai pastori e dai mandriani e sono frutto di pazienza ed arte.
La pelle che si vede con accanto qualche moneta è una pelle di gatto conciata e rovesciata: veniva ripiegata più volte a portafoglio e serviva per contenere il danaro.
La paura dei ladri faceva dire alle donne di casa: “et sconditt la peli de gatt”?
Il mazzo di piccoli coltelli di varia forma appesi nella vetrina, erano i ferri della chirurgia contadina e sono coltelli plurilama che servivano per lare i salassi alle bestie, per tagliare ascessi e altro.
Il coltello a serramanico era un arnese indispensabile per I’uomo dei campi che non se ne separava mai, non era un’arma, ma serviva a molti usi.
Un’arma proibita era invece il tirapugni: quattro anelli di ferro azionati da robuste braccia di giovani, potevano uccidere… ed erano purtroppo eventi che accadevano per antiche faide familiari.
Il fazzoletto rosso con I’ anello era la decorazione tipica dei mercanti di bestiame e dei mandriani.
Le XII Sale del Museo
SALA I

La fucina del fabbro
Visite
Prenotazione Visite
Scopri gli orari di apertura del Museo e come prenotare visite guidate per gruppi.
Il Museo è accessibile alle persone con disabilità.

Visita Virtuale
Scopri le sale del Museo della Valle, immergiti nella storia, guarda gli oggetti che hanno accompagnato l’uomo nella sua vita di un tempo.
Puoi muoverti “virtualmente” nelle sale, ingrandire ed osservare i dettagli degli oggetti esposti pregustando una futura visita.
