Sala VII – L’Osteria del paese
Il tavolo e la panca, il legno fissato al muro con la carta vetrata per accendere i fiammiferi (fulminaci), il piatto e il litro, il cesto del pane sono l’arredo povero dell’osteria di un tempo. La valle nel lontano passato produceva una certa quantità di vino e alla fine del ‘500 il Da Lezze, Capitano Veneto, fa un censimento esatto della produzione. Ma forse erano vini leggeri e soltanto salati, cosicchè quando vennero a stabilirsi i mercanti di vino meridionale, la vite scomparve quasi del tutto e oggi non esiste più traccia, resta fuori dalle vecchie case qualche ceppo d’uva americana, dolce al palato ma non buona per vino.
L’ osteria, nel lontano e in un recente passato, era il ritrovo domenicale degli uomini giovani e vecchi, convenuti dalle borgate della vicaria per la messa cantata, dopo l’ite missa est, se ne andavano allegri all’osteria (che chiamavano anche trani o duro) per festeggiare la domenica il solo divertimento era quello di fa su la cioca.
E s’alzavano canti e risate, giocate di morra tra un litro e un boccone tinche al tramonto del sole comparivano le donne di casa, vestite del grembiule nero con lo scialletto sulle spalle, che trascinavano a fatica fuor dall’ osteria il marito, il padre, il figlio, rifuttanti e instabil sulle gambe; li accompagnavano fino a casa, un po divertite per i lazzi, un po arrabbiate per la bevuta.
L’arredo dell’osteria rispecchia un tempo non molto lontano, ma che appartiene ormai al passato. Boccaletti, banchi decorati con foglie colore blu, litri, mezzi litri e quartini debitamente bollati, piatti figurati e zuppiere come monumenti. Le osterie finivano di animarsi delle voci forti degli avventori, quando tramontava il sole e nelle case rurali scendeva il buio della notte.
Il lume dell’oste per scendere nella cantina sotterranea era una molla a spirale di ferro che conteneva un piccolo cilindro che finiva con un manico: girando I cilindro col manico, quando la candela calava e scendava sotto il livello superiore della molla, si faceva risalire lungo la spirale. Si manteneva in tal modo accesa la candela man mano che si consumava.
Molte volte canti erano accompagnati dalla fisarmonica e lo strumento, portato per lo più dagli emigranti, era chiamato alla francese accordeòn. Le carte da gioco accartocciate e unte erano tipiche: carte dette bergamasche con figure diverse da quelle di altre provincie. L’oste dopo che gli avventori se ne erano andati, raccoglieva i mazzi di carte e poiché erano spesso accartocciati dall’uso un pò violento dei giocatori, le metteva in un piccolo torchio per spanarle e presentarle in buono stato il giorno dopo. Le stanze dell’ osteria erano decorate dalle oleografie di avvenimenti celebri: Sant’Alessandro patrono, Garibaldi, Napoleone. Le insegne dipinte nei vari locali recavano un richiamo alle tante: c’era sempre scritto vino buono.
Ma dietro questa facciata dell’osteria, c’è un mondo passato sul quale meditare. Non certo comprensibile e paragonabile alla vita che nei paesi, grandi e piccoli, si conduce oggi era l’unico svago degli uomini e delle feste. Il resto del giorno, era soltanto lavoro con le sue alterne fortune oppure lontananza dalla propria casa ancora per lavoro. Nelle stanze calde fumose, odoranti di cibo e di vino, nascevano molti pensieri; erano meditate decisioni e soprattutto dimenticate nel bere, asprezze e difficoltà di vita e di salute .
La vetrina del secondo piano e piena di indumenti e ricami femminili, trine e merletti, cuffie e bavaglini. la camicetta della sposa, le cose femminili per adornarsi e piacere a se e agli altri. Sembrano rievocare, questi oggetti, un mondo d1 creature pazient , di occhi attenti, di mani laboriose e amorevoli sono lavori di pregio lasc1ati in eredità, custoditi nei cassoni delle famiglie e di un tempo, perchè erano qualche cosa di piu che un tessuto di lino ricamato, avendo in se e nel disegno, l’anima e il sentire di qualche donna, ragazza madre o nonna.
Sono stati messi dentro la vetrina, insieme agli strumenti che servivano a lavorarare, i ricami di vario tipo, che hanno nomi tipici, ma che nessuno sa ripetere perche non usano più.
Gli occhiali che hanno aiutato la vista delle più vecchie e il senso e quel gusto del ricamo, il desiderio di indossarlo e di possederlo, sono argomenti di un passato quasi remoto. Ma forse la mostra rivive per un attimo nell’ animo di chi guarda, specie se donna, come fosse un bene ritrovato.
Le XII Sale del Museo
SALA VII

L’osteria del paese
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