Sala X – Telai, burattini, lumi e lanterne
L’intuito di questi progenitori li portò a capire che, mettendo paralleli uno accanto all’altro dei peli di lana e formando una specie di nastro che si poteva torcere, si otteneva un filo che aveva una certa resistenza.
Messi uno accanto all” altro piu fili paralleli tenuti da due bastoni, spostandone la metà verso l’alto e la seconda metà verso il basso (ordito) intersecando poi questa apertura con un filo trasversale (trama) quindi chiudendo questa bocca aperta, si otteneva quella che si chiama la tela. Sembra che I’ uomo abbia scoperto questo lavoro fin dal neolitico; ma sicuramente per attuarlo ebbe bisogno di arnesi. Questi arnesi furono creati e perfezionati continuamente e servirono I’ uomo lino a poco più di cento anni or sono, nella loro quasi originaria forma e funzione.
Primo fra tutti è la rocca: al limite allo di tali rocche venivano collocali i peli (e più tardi le libbre tessili come lino, canapa, cotone): l’asta della rocca veniva trattenuta sollo l’ascella della filatrice, la quale sfilando poche fibre per volta e torcendole con il pollice e l’indice, formava un nastro: l’inizio del filo. Questo fuso per la sua speciale forma era adatto a girare e così girando torceva con regolarità il filo, attribuendogli una buona resistenza. Verso il sec. XIV il filatoio o molinello, mutò fondamentalmente il sistema della rocca e facilitò il lavoro di produzione dei fiati, svolti dal fuso o dal molinello che il aveva raccolti e trasformati in matasse: permettendo di lavare, sgrassare e tingere i fili di lana e di altre libre. Dalle matasse poi si fecero dei rocchetti e da questi l’ordito.
Il telaio esposto, mostra come si otteneva la tela con I’inserzione della trama, cioè del filo trasversale. I tessuti di lana venivano prodotti partendo dal vello delle pecore; ma c’era anche la coltivazione del lino che dava i tessuti per la biancheria personale e quella della casa. Quasi ogni famiglia produceva il lino, lo filava e lo tesseva. Il lino era coltivato in un campo non lontano dalle abitazioni, seminato in luglio, raccolto verso ottobre, si legavano le piante in lasci e si lasciava seccare. Poi si mettevano i fasci a macerare in una pozza d’acqua per circa una settimana. Per favorire la perdita della corteccia, si mettevano sull’ aia a seccare di nuovo; infine si battevano ripetutamente con la gramòla allo scopo di eliminare la corteccia e conservare la fibra interna del lino. Poi con gli scardassi o carde si ripassavano continuamente le fibre per mettere i f li paralleli e per eliminare le impurita La cardatura permetteva di ottenere una fibra morbida e lucida. Di qui iniziava il procedimento della filatura dell’orditura e da ultimo della tessitura. Il lavoro era tutto svolto dalle donne di casa specie nei mesi invernali.
I Burattini
I burattini dei nostri paesi si chiamano giopi da Gioppino, la celebre maschera bergamasca distinta dai tre gozzi e armata dal tarél (bastone) che serve ad amministrare botte e giustizia. Non molto lontano nel tempo, i “gioppini” erano o spettacolo consuelo delle domeniche ne paesi, con drammi e commedie per ragazzi e per adulti. Le baracche del burattinaio erano mobili e smontabili, cosicchè trovavano luogo un pò dovunque. Qui a Zogno i gioppini avevano il loro posto sotto il portico di quella che si chiama la strecia di asegn: l’andito esiste ancora, ripulito e illummato, ma senza più la baracca dei gioppini. Il personaggio più importante era sempre Gioppino con il contorno della moglie e della famiglia “gioppinona”. Gli altri erano il necessario corredo per la storia da rappresentare; oltre alle maschere venete (Arlecchino, Brighella) a quelle emiliane (Sandrone), c’erano i personaggi che servivano all’intreccio: re, regine, fanti e soldati, dame e cavalieri, bevitori buffoni, donne innamorate. Queste produzioni bastavano ai ragazzi d’ una volta e risate, paure, lacrime erano il divertimento emozionante ricavato dalle rappresentazioni. Botte e mangiate, paradossi e storie incredibili, parole scurrili e gesti altrettanto chiari, tutto condito dal sale del dialetto, dalle facezie e dai suoni gutturali della parlata popolare. Il teatrino finiva al tramonto e i ragazzi ritornavano alle loro case col cuore in tumulto per via della storia, dell’incredibile che avevano visto, dei misteriosi avvenimenti e delle risate che avevano potuto fare. Speravano di rivedere ancora i gioppini, rimandando I’ ansia e il desiderio alla prossima festa.
Loro, i burattinai girovaghi e provvisori, non esistono piu. In antico s’accompagnavano ai ciarlatam, ai cavadenti agli zingari, ai mercanti ambulanti, dal secolo XVIII fino alla fine del secolo XIX hanno allietato generazioni di ragazzi in tutti i paesi del contado; poi hanno perso i viandanti amici e sono rimasti soli, sono stati messi da parte dalle novita del mondo moderno. Quelli che resistono e sopravvivono sono diventati come patetici ricordi di un mondo che non esiste più.
I lumi e le lanterne
All’alba della preistoria, la luce era soltanto quella del sole: il sole era il Dio che rendeva possibile la vita e fecondava tutto col suo calore.
All’origine della civiltà l’uomo volle dissipare il buio delle notti e usò la torcia di legno impregnata di sostanze resinose. Assai piu tardi, (e stranamente in molti luoghi della terra e in maniera indipendente) si inventò qualche cosa di simile a ciò che noi chiamiamo la candela: un filo che poteva dare luce bruciando la materia grassa che gli stava intorno. Poi venne la lampada ad olio, la “lucerna” che ebbe grandissima diffusione su tutti i continenti, assai più della candela.
Questi due sistemi illuminarono le notti per molto tempo, dalla preistoria alla storia, finchè, all’incirca due secoli or sono, vennero in uso le lampade a gas e le lampade a petrolio. Da ultimo, nel 1880, fu inventata la lampadina elettrica, che con molte varianti noi usiamo tutt’ora.
Nella vetrina dedicata ai lumi, c’è rappresentata nelle sue forme essenzial e pratiche, questa lunga storia della tuce che accompagno I’uomo nelle sue notti. I lumi ad olio furono quelli che durarono di più, fino alle moderne soluzioni della illuminazione. A Serina c’erano diversi artigiani che con lamine di rame o di ferro, fabbricavano le vaschette che qui sono presentate appese a un cerchio, munite di stoppino e gancio per appenderle.
Sono gli alum che furono impiegati nelle remote contrade della nostra Valle, fino a non molti anni addietro. E insieme a questi lumi primitivi verranno notati nella vetrina, le lampade a candela, a olio, a petrolio e i recipienti curiosi di ferro per l’olio delle lampade. Non sono più in uso nelle nostre case, ma conservano ancora il loro fascino e la loro utilità, quando un temporale indomabile e fragoroso, interrompe le linee dell’ energia elettrica.
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